Usa. John Gearhart: le pressioni non mi hanno mai fermato

Sono passati ormai circa 5 anni da quando il prof. John Gearhart ha fatto della ricerca sulle cellule staminali embrionali un obbiettivo professionale e personale. Professore all’Institute for Cell Engineering – John Hopkins Medicine, e’ stato uno dei primi scopritori delle potenzialita’ delle staminali, ma sin dai primi passi della sua carriera ha dovuto scontrarsi contro pregiudizi politici e morali.
Tutt’ora a 60 anni, incontra studenti e pazienti nel suo laboratorio, partecipa a conferenze pubbliche e risponde con diligenza alle preoccupazioni del malato. “Fa parte della vita accademica dello scienziato, sono cose che ci teniamo a fare”. Impegni, appuntamenti e esperimenti in sospeso: la vita di un ricercatore che ha speso gran parte della sua giovinezza a studiare non si presenta rosea con l’avanzare degli anni. Il rispetto per l’eta’ non ha valore di fronte ai problemi finanziari e politici legati a certi settori biotecnologici. A questo si aggiungono i normali acciacchi e questioni familiari che rendono il tutto piu’ complesso.
Quando nel 1998 una rivista scientifica pubblico’ il suo primo lavoro sulle staminali, Gearhart passo’ dall’anonimato totale all’intensa attenzione dei riflettori. Quegli stessi riflettori dettero vita ben presto alle polemiche, alle critiche, alle disquisizioni spesso demagogiche sul quando inizia e finisce la vita. La gente si inizio’ a chiedere dove potesse arrivare la scienza, e gli scienziati cominciarono seriamente a preoccuparsi del tipo di informazioni che circolavano. “Le persone non sono in grado di tracciare una linea definitiva che distingua staminali da clonazione o genoma da Frankestein. E’ nostro compito istruire e spiegare”.
Da un lato i fronti pro-life pressavano affinche’ egli interrompesse i suoi studi, dal momento che lavorava su feti abortiti. Ma dall’altro il professore di Hopkins continuava a ricevere richieste da familiari e pazienti disperati, che gli chiedevano di continuare a lavorare anche se avesse dovuto farlo in clandestinita’. Ma Gearhart non ha avuto bisogno di arrivare a tanto. Grazie ad una donazione anonima di circa 58,5 milioni di Usd alla John Hopkins e’ stato possibile costruire un edificio adibito alla sola ricerca sulle staminali, l’Institue for Cell Engineering. La visibilita’ e le prospettive di Gearhart si sono aperte in pochissimo tempo, grazie anche alla pubblicita’ data dal prestigioso nome dell’accademia.
Tutti parlano di lui come di un uomo che ha sempre il pieno controllo delle cose, e che tende a ribellarsi ai limiti precostituiti con garbo e calma. Quando lavorava in un laboratorio della Cornell University si diceva che stesse per ore davanti ad un vetrino aspettando i risultati. “Alzati dal tavolo e fai altro!” e lui rideva e rispondeva “Tempo, occorre solo tempo”. Per un periodo di tempo, appena trasferitosi alla Hopkins, si e’ occupato di problemi genetici, ed in particolare della Sindrome di Down. Ma il lavoro era frustrante “perche’ tutto quello che imparavamo ci portava ad un punto morto. Ogni processo caratteristico della malattia avveniva in fasi embrionali troppo precoci perche’ noi avremmo potuto intervenire”. Si avvicino’ quindi di nuovo alle cellule staminali, chiedendosi pero’ quale fosse la fonte migliore per trovarle. Chiese consiglio al dott. Peter J. Donovan, che aveva lavorato a lungo sulle staminali dei roditori, dicendogli chiaramente che aveva intenzione di lavorare su feti, abortiti per ragioni personali e non scientifiche. Il dott. Donovan fu scettico all’inizio, e piu’ che scetticismo la sua fu prudenza. Ma Gearhart lo convinse dei suoi motivi etici che lo spingevano verso quella direzione, e giuro’ che sarebbe stato cauto.
Dopo una serie di prevedibili fallimenti e complicazioni, il professore riusci’ a ottenere il materiale, a lavorarlo e a sviluppare molte linee di staminali. Fu a quel punto che anche la classe politica si interesso’ a lui, e comincio’ a contenderselo per farsi spiegare alcuni meccanismi scientifici sconosciuti ai piu’. Della sua prima audizione al Congresso, Gearhart ricorda solo un senso di eccessiva attenzione su di se’, e una profusa ignoranza. “Parlavo ai deputati, e spiegavo loro che la ricerca sulle staminali avrebbe potuto combattere anche malattie come il diabete. Ad un certo punto sentii un deputato che chiedeva ad un membro dello staff: ‘ci sono diabetici in questo distretto?'”
L’ignoranza all’interno della classe politica contribui’ al senso di impotenza di fronte a certe convinzioni dure a morire. Einstein usava dire che “e’ piu’ facile dividere un atomo che dissolvere un pregiudizio”. Aveva ragione.
Quando il presidente Bush vieto’ i finanziamenti pubblici alla ricerca sulle staminali embrionali, Gearhart si defini’ molto arrabbiato. Bush aveva preso una decisione unilaterale per controllare la scienza, e in larga scala anche la societa’. Ma non si limito’ a criticare: passo’ ore ed ore con Leon Kass, consigliere in materia di bioetica per Bush, per aiutarlo a correggere gli errori fatali di quel provvedimento. Kass riconobbe la buona fede dello scienziato, le competenze e l’onesta’ intellettuale che lo spingevano, ma nulla servi’ per fargli cambiare idea.
Pur uscendo pieno di sconforto da questa esperienza, Gearhart ha continuato a tenere conferenze e dibattiti accesi, noncurante della pressione politica alla quale e’ sottoposto. La moglie, ginecologa alla Hopkins, vorrebbe che si fermasse un po’, e che non cedesse allo stress che implica il suo mestiere. D’altro lato il suo manager e “padrino”, Micheal Armstrong, ritiene che sia una responsabilita’ dello scienziato istruire ed educare le persone al linguaggio delle nuove scienze. “Ma non potrei limitarli mai a considerare Gearhart come un semplice insegnate senza laboratorio”.
Il suo lavoro continua attualmente sui primati. Ma anche se non si sente vecchio, il professore ha come l’impressione di essere vicino alla fine della sua carriera. “Sento un briciolo di ansieta’ per tutto quello che c’e’ intorno a me. Tutto e’ valutato secondo termini politici o strettamente personali, e le persone magari non hanno nemmeno idea del lavoro che faccio. Vorrei che la gente sapesse perche’ lo faccio, quali sono i miei obbiettivi”.