INCLUSIONE – Orgogliosamente uniche – ovvero difetti che diventano peculiarità
Quando ho inaugurato questa sottosezione delle mie noterelle all’insegna dell’INCLUSIONE, pensavo solo allo ius soli/culturae e alla galassia LGBTQI+ .
E invece di gruppi di persone che non godono di inclusione nella nostra società, proprio quella italiana, ce ne sono diversi altri.
E ho scoperto che basta aprire un pochino la propria finestra per vedere il paesaggio che si anima di tante presenze, la cui nostra conoscenza era solo teorica, ma non era animata da quel sentimento importante che si chiama empatia.
E’ proprio vero, “camminando s’apre il cammino”, come diceva Arturo Paoli, presbitero e missionario cattolico che nel 1999 ricevette dallo Yad Vashem il titolo di ‘Giusto tra le nazioni’, per aver salvato nel 1944 a Lucca la vita di due coniugi ebrei.
E dunque eccomi oggi ad accennare alla “bellezza non conforme”, quella messa in evidenza in un articolo che ho trovato su “La Stampa” di una settimana fa.
In esso si presentano quattro modelle “orgogliosamente uniche”, le cui imperfezioni (nell’accezione convenzionale del termine) non sono difetti ma peculiarità”. Posano, nelle immagini inserite nell’articolo, per Fantabody, una ditta che produce capi d’abbigliamento intimo “per vestire ogni tipo di corpo e realizzati in materiali sostenibili”, i cui servizi sono fatti da I’mperfetta, un’agenzia di moda inclusiva “nata per connettere, ispirare e dare visibilità alla community di donne straordinariamente imperfette” e “orgogliosamente uniche”.
Ma veniamo alle protagoniste di questo articolo di Giulia Mattioli.
Di ciascuna ragazza veniamo a conoscere nome e cognome e un’immagine, in cui ella presenta un capo di abbigliamento adatto al suo fisico, e attività a cui si dedica.
Christine Puglisi è presentata come modella e influencer che promuove l’accettazione del proprio corpo; è quindi molto impegnata sui social perché è convinta “che la società possa cambiare in meglio”. Per molto tempo il suo peso l’ha fatta sentire in colpa, anche perché tanta gente si metteva in cattedra per insegnarle come fare a dimagrire … finché ha scoperto che la sua taglia, in realtà, dipendeva da alcune patologie. E così, facendo tesoro della sua dolorosa esperienza, afferma: “Oggi uso i social per dare voce alla ragazzina che sono stata e a tutte coloro a cui la società fa credere che ci sia qualcosa di sbagliato nel loro corpo”.
Ludovica Billi, nata sorda, lavora come “graphic designer” (si occupa, cioè, di progettazione grafica) e si impegna in rete per far conoscere quelle che sono le “disabilità invisibili”, come lo è la sua. Fino dall’infanzia ha potuto usare un impianto cocleare che è un dispositivo che stimola il nervo cocleare che è quello che garantisce all’essere umano la percezione e il riconoscimento del suono. Anche lei è dovuta passare attraverso il dileggio di alcuni compagni di scuola e, anche da adulta, ha subito forme di discriminazione. Da qui il suo impegno a lottare sui social contro i pregiudizi verso le persone con disabilità, nella certezza che “se ci fosse più informazione, le persone avrebbero meno paura di ciò che non conoscono”.
Gaya Cuppone lavora come “business consultant”, che è una figura professionale che permette alle aziende di conquistare un mercato, o di crearne uno nuovo. A undici anni le è stata diagnosticata una forma grave di morbo di Crohn che è una pericolosissima infiammazione dell’intestino, i cui sintomi non sono facili da definire, come accade a molte “malattie invisibili”. “All’inizio – racconta – i medici pensavano fosse anoressia, perché in quel periodo la mia famiglia stava attraversando un brutto momento”. Gaya ha subìto un intervento nel quale le è stato applicato un dispositivo all’altezza dello stomaco, che, afferma, “oggi non mi vergogno più di far vedere”.
Come le altre colleghe è impegnata a far conoscere questa malattia, perché anche lei è convinta che “più le persone conoscono certi argomenti, meno hanno timore di confrontarsi”.
Infine ci viene presentata Lucia Della Ratta che è una ragazza albina e ipovedente. Lei sembra essere l’unica non impegnata sui social, e svolge un lavoro legato all’assistenza sanitaria. Ma è anche appassionata di viaggi e di moda.
Anche lei ricorda delle difficoltà, soprattutto nell’adolescenza, perché veniva presa in giro per il suo aspetto. E comunque afferma: “Ho sempre risposto con gentilezza, perché, anche se è molto triste, credo che dobbiamo accettare il fatto che non tutti sono stati educati alla sensibilità”.
Arrivata alla fine, desidero fare un augurio a chi si soffermerà su questa carrellata di donne “orgogliosamente uniche”. Cioè, quello di imparare dalle loro storie e dal loro coraggio quello che ho imparato io – superare gli stereotipi e i pregiudizi verso chicchessia (o almeno provarci seriamente). Guardare ogni persona nella sua unicità e provare a mettersi nei suoi panni, anche se, di primo acchito, proprio non ci piacciono.
Diventare di volta in volta “nero”, “transessuale”, “obeso”… Che cosa proverei, io, se, essendo così, mi arrivassero addosso sguardi e parole di disprezzo, contumelie, minacce? Non sentirei, allora, il desiderio di essere accolto con rispetto e con benevolenza? Potere esprimere i miei sentimenti, raccontare le mie speranze e i miei desideri di abitare a pieno titolo questa società, di contribuire al suo benessere e al suo progresso materiale e morale?
In una parola, non anelerei anch’io all’INCLUSIONE?
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