Germania. Informazione ai consumatori: legge ostacolata dalle reticenze delle autorità

Che si tratti di carne avariata o di uova infette, a ogni scandalo alimentare il Governo promette ai cittadini più trasparenza. Ma dopo due anni dal varo della Legge sull’Informazione ai Consumatori il bilancio è sconfortante -autorità fiacche tutelano l’industria, spesso a danno dei clienti.

Aveva plaudito alla nuova legge come a nessun’altra. L’allora ministro competente, Horst Seehofer, nel maggio 2006 aveva definito la nuova normativa sull’informazione ai consumatori ”pietra miliare” e un “grande passo avanti per i consumatori”. Doveva essere una legge a favore dei cittadini e della trasparenza, che per la prima volta sanciva il diritto a ottenere informazioni dalle autorità preposte.
Un entusiamo giustificato: dopo gli scandali della BSE, delle uova contaminate dall’erbicida NITROFENE, della carne avariata nei Kebab e di altre infrazioni alle regole in campo alimentare, persino i poco esigenti tedeschi si erano indignati -sia con l’industria alimentare sia con le reazioni tardive delle autorità poco inclini a sentirsi responsabili. Seehofer si erse a garante dei consumatori ed emanò la legge VIG -che suona bene, ma non ha mai creato problemi alle aziende.
A due anni dall’entrata in vigore della VIG si nota come abbia fallito lo scopo, e su tutta la linea: chi chiede informazioni di eventuali tracce di pesticidi nell’ortofrutta, chi vuole sapere come gli ispettori abbiano valutato le panetterie del quartiere o anche solo il nome del produttore di un articolo contestato, dovrà armarsi di pazienza, possedere nervi saldi e magari anche soldi. Il fatto è che la ricerca di informazioni aggiornate e veritiere non trova sponda nella legge, tutt’altro: le esperienze vissute da certi clienti sono assurde. Ne è un esempio un acquirente del Baden-Wuerttemberg che voleva sapere se nell’uva venduta in un determinato discount ci fossero pesticidi ed eventualmente il nome del produttore. La prima risposta fu il semplice indirizzo elettronico di un’altra autorità cui doveva rivolgersi. La seconda, una telefonata dell’ufficio indicato con cui lo si avvertiva che la sua richiesta sarebbe costata, e non poco, giacché per eseguire i test nei discount servono almeno due giorni, al costo di 500 euro al giorno. A quel punto il cliente lasciò perdere, ma prima di riattaccare ebbe un consiglio gratis: compri uva “bio” che non contiene pesticidi.
In un altro caso, un consumatore di Stuttgart voleva sapere se i locali Doener (kebab)  della città fossero stati ispezionati e se la carne fosse in regola e i locali puliti. La risposta si fece aspettare quattro settimane e non fu esaltante: Spiacenti, ma la sua domanda è troppo generale e richiederebbe un impegno sproporzionato.
Le esperienze dei clienti sono conformi con quelle delle Associazioni dei consumatori e delle Organizzazioni ambientaliste. Che si tratti di contenitori di bibite pregni di sostanze chimiche, oppure di alimenti Ogm, o di mancata sicurezza dei giocattoli, a detta di queste organizzazioni la legge VIG è un guscio vuoto, promette cose che non è in grado di mantenere. Oltre che essere complicata e difficile da applicare. E chi si rivolge alle autorità per saperne di più, spesso si trova davanti a un muro.
La legge prevede che gli uffici competenti rispondano entro un mese, al massimo due, se gli impiegati sentono il dovere di interpellare persone terze -di solito le aziende. E soltanto allora decidono se rispondere o no al consumatore. Non solo:  l’azienda può opporsi alla richiesta. Prima che il consumatore venga a sapere quali prodotti evitare possono passare dei mesi. E in più rischia di pagare “fino a 500 euro per ogni giorno di analisi”. Ad Amburgo in un caso sono stati richiesti 96 euro per la lapidaria risposta: ”Non è stata rilevata nessuna infrazione”.
Alla base di un simile procedere ci sono, insieme alla tradizionale reticenza delle autorità tedesche e alle competenze poco chiare, anche formulazioni nebulose nel testo di legge. Esso riporta, per esempio, che si possono tacere informazioni configurabili come ”segreti aziendali o altre informazioni importanti rispetto alla concorrenza”. Ma, come dice l’esperto di Greenpeace, Manfred Redelfs: Per le aziende ogni informazione spiacevole diventa un segreto commerciale. Certo, il consumatore può opporvisi, ma chi si azzarda a intraprendere quella strada?
Persino i tribunali premono affinché la legge venga attuata meglio. Così, a marzo di quest’anno, il tribunale amministrativo superiore di Sachsen-Anhalt scriveva: Eventuali minori vendite delle aziende coinvolte in inadempienze verso i consumatori non rientrano tra i valori da tutelare.
Il ministero per i Consumatori fa orecchi da mercante e sostiene che la legge funzioni sulla base di tre studi -uno di questi curato dall’Università Philipp di Marburg-, dai quali emerge che la legge va bene così e non necessita di ritocchi. Il fatto è che sono state interpellate soprattutto le autorità che devono metterla in pratica. E quando sono state sentite le persone critiche con la legge, le loro risposte sono state abbastanza oscurate. 
Che sia necessaria un po’ di creatività per salvaguardare i consumatori lo dimostra l’esperienza fatta nell quartiere  Pankow di Berlino -già sinonimo dell’ingessata DDR. Dopo gli insuccessi avuti malgrado i numerosi controlli e la chiusura di imprese, le autorità competenti hanno messo in Rete fotografie e nomi di ristoranti e aziende inadempienti. Quel materiale era visto da almeno 40.000 persone al giorno, e le aziende hanno reagito prontamente: hanno assunto più personale per le pulizie, rinnovato le cucine, eliminati gli ingredienti poco appetibili. Il settore colpito, pur mostrandosi indignato, non ha denunciato il dirigente dell’Ufficio. E i risultati si sono visti: se nel 2008 sono stati chiusi 111 locali, l’anno dopo erano calati a 71.  

(traduzione di Rosa a Marca)
(pubblicato su Der Spiegel del 23 maggio 2010)